Punti chiave
1. Il Processo V13: Un'Odissea Umana e Giudiziaria
Penso che, fra il momento in cui entreremo in quell’aula di tribunale e quello in cui ne usciremo, qualcosa in noi tutti sarà cambiato.
Un'esperienza trasformativa. Il processo V13, durato un anno scolastico, non è stato solo un evento giudiziario, ma un'immersione collettiva in un'esperienza umana estrema. L'autore, Emmanuel Carrère, si è impegnato a seguirlo quotidianamente, convinto che l'ascolto delle centinaia di testimonianze avrebbe modificato profondamente tutti i partecipanti: magistrati, avvocati, giornalisti e vittime. L'aula, una "scatola di tamburato bianco" costruita appositamente nel Palazzo di Giustizia di Parigi, è diventata un luogo di confronto con la morte e la vita.
La ricerca di senso. Carrère, pur non essendo direttamente coinvolto negli attentati del 13 novembre 2015, è stato spinto da un profondo interesse per la giustizia e le "mutazioni patologiche" delle religioni. La sua motivazione principale era ascoltare le centinaia di esseri umani che avrebbero raccontato la loro notte d'inferno, cercando di capire "che cos'ha nella testa quella gente" e come l'esperienza estrema potesse cambiare le persone.
Un racconto collettivo. Il processo è stato concepito come un'indagine a 360 gradi sugli eventi, con l'ambizione di creare un "racconto collettivo" di quella notte. Questa narrazione condivisa, tessuta dalle voci delle vittime e dalle analisi degli esperti, ha trasformato l'aula in un "luogo sacro", un'esperienza unica di terrore, pietà e vicinanza, ben oltre le aspettative di un mero "happening giudiziario faraonico e inutile".
2. Le Voci delle Vittime: Un Mosaico di Dolore e Resilienza
Non ci sono e non ci possono essere ripetizioni, perché quegli stessi momenti ciascuno li ha vissuti con la sua storia, con le sue conseguenze, con i suoi morti, e li racconta adesso con le sue parole.
L'orrore in prima persona. Per cinque settimane, il processo ha dato voce a circa duecentocinquanta vittime, sopravvissuti e familiari dei morti. Le loro testimonianze, sebbene a volte ripetitive nei fatti (i "petardi" scambiati per spari, il "silenzio di morte" seguito dalle urla), erano uniche nella loro espressione del dolore, della paura e della resilienza. Ogni racconto ha rivelato un'esperienza individuale e straziante, rendendo impossibile la noia o la distrazione.
Eroi della quotidianità. Molte vittime sono state descritte come "eroi" non per atti di coraggio eccezionali, ma per la forza necessaria a ricostruirsi, per il modo in cui hanno abitato l'esperienza del trauma e per la profondità dei legami con i vivi e i morti. Esempi includono:
- Maya, che ha perso il marito e gli amici, ma ha lottato per "vivere, semplicemente vivere".
- Alice e Aristide, fratello e sorella, che si sono salvati a vicenda e hanno trovato la forza di continuare a "far sognare la gente" e a "credere nella giustizia".
- Bruno, che ha protetto una sconosciuta, Édith, e ha rifiutato di lasciarla sola.
Il mistero del bene. Contrariamente alle aspettative di egoismo in situazioni di catastrofe, il processo ha rivelato numerosi atti di aiuto reciproco, solidarietà e coraggio. L'autore si interroga sul "mistero del bene", chiedendosi se sia più grande di quello del male, e sottolinea come l'amore per l'altro, anche il "malvagio", sia un imperativo morale.
3. L'Enigma dei Terroristi: Tra Banale Delinquenza e Fervore Jihadista
Tutto quel che dite su noi jihadisti, è come se leggeste l’ultima pagina di un libro. Il libro dovreste leggerlo dall’inizio.
Profili complessi. Gli imputati, molti dei quali provenienti dal quartiere di Molenbeek a Bruxelles, sono stati descritti come "bravi ragazzi, un po' sbandati, moderatamente religiosi" prima di intraprendere il percorso jihadista. Le loro "personalità" sono state scandagliate, rivelando un mix di microcriminalità, dipendenza dall'hashish e una vita senza grandi prospettive, che ha reso fertile il terreno per la "grande e tenebrosa e magnetica cazzata" del jihadismo.
Il ruolo di Abdelhamid Abaaoud. Figura centrale del commando, Abaaoud è emerso come il "genio del male", un "clown inquietante" che ha trasformato Molenbeek in un vivaio di islamisti. La sua trasformazione da teppistello secolare a "teppistello salafita" dopo un anno in una scuola coranica al Cairo, e la sua successiva ascesa a "emiro" dei foreign fighters in Siria, sono state tappe cruciali nella radicalizzazione del gruppo.
Contraddizioni e dissimulazione. Salah Abdeslam, la "star del processo", ha oscillato tra l'orgoglio di essere un "combattente dello Stato islamico" e la descrizione di sé come un "fighetto impastoiato nelle sue contraddizioni". Le sue versioni mutevoli sulla mancata esplosione della sua cintura (difetto, paura, o "rigurgito di umanità") e la sua apparente ingenuità riguardo agli scopi degli attentati, hanno evidenziato la complessità e la potenziale "taqiyya" (dissimulazione) dei jihadisti.
4. La Logistica del Terrore e le Fallacie dell'Intelligence
I servizi francesi, e non soltanto francesi, lo sanno talmente bene che nel gennaio 2015 fanno squadra – con la polizia federale belga, la CIA e il Mossad – per beccarlo ad Atene, circondando un intero quartiere. Sennonché non lo beccano, e da quel momento Abaaoud sparisce dai radar.
Un fallimento sistemico. Le deposizioni dei servizi segreti francesi (DGSI, DGSE) e della polizia belga hanno rivelato un "fiasco su tutta la linea" nella prevenzione degli attentati. Nonostante la conoscenza della minaccia e l'identificazione di molti futuri terroristi, tra cui Abdelhamid Abaaoud, le agenzie non sono riuscite a intercettare i piani o a catturare i responsabili.
- Abaaoud, capo operativo della COPEX (cellula ISIS per operazioni all'estero), è sfuggito a un'operazione congiunta ad Atene.
- La testimonianza di Reda Hame, un jihadista rientrato dalla Siria che aveva avvertito di un imminente attacco a una sala concerti, è stata ignorata.
Errori e sottovalutazioni. Gli investigatori belgi, in particolare, sono stati criticati per la loro superficialità. La perquisizione del caffè Les Béguines, centro logistico degli attentati, è durata solo quindici minuti, e la cantina non è stata ispezionata. Un poliziotto ha rilasciato Brahim Abdeslam, sospettato di terrorismo, dopo avergli semplicemente "chiesto" se stesse pianificando attentati. Questi errori hanno permesso ai terroristi di operare indisturbati.
Il "convoglio della morte". La ricostruzione dettagliata dei preparativi ha mostrato come Salah Abdeslam abbia svolto un ruolo chiave nella logistica, noleggiando auto e affittando covi, e accompagnando i combattenti rientrati dalla Siria. L'acquisto di materiale pirotecnico e prodotti chimici per esplosivi, spesso fatto a volto scoperto, ha evidenziato una sorprendente mancanza di cautela, o forse la certezza di morire.
5. La "Taqiyya" e il Silenzio degli Imputati: La Sfida della Verità
Le caratteristiche di dignità e umanità sottolineate da questo professore vestito di candida onestà e di Gore-Tex grigio non saranno state pura e semplice taqiyya?
La strategia del silenzio. Molti imputati, in particolare i "pesci grossi" come Osama Krayem e Mohamed Bakkali, hanno scelto di rimanere in silenzio durante gli interrogatori, sostenendo che la loro parola non avrebbe avuto valore. Questa strategia, sebbene un diritto, è stata percepita come destabilizzante e ha alimentato il sospetto che avessero molto da nascondere.
Il concetto di "taqiyya". La taqiyya, la dissimulazione praticata dai fedeli in situazioni di pericolo, è diventata un tema centrale. Gli esperti hanno spiegato come i jihadisti la usino per confondersi con gli "infedeli", presentandosi come musulmani pacifici. Questo ha generato paranoia tra le forze dell'ordine e i giudici, che si chiedevano se l'apparente innocenza o il pentimento fossero solo una maschera.
L'eccezione di Sofien Ayari. Contrariamente agli altri, Sofien Ayari ha scelto di parlare per sei ore, offrendo una spiegazione "rigorosa" e "non da fanatico squilibrato" della sua radicalizzazione. Ha descritto la sua adesione all'ISIS come una scelta politica, nata da un "senso di solidarietà e di rabbia" per la situazione in Siria. Pur condannando gli attentati, ha insistito sulla necessità di condannare anche le azioni occidentali in Iraq e Siria, sollevando interrogativi sulla "legittimità" della violenza da entrambe le parti.
6. Il Prezzo delle Lacrime e delle Parole: La Giustizia Economica e Legale
Come stabilire il prezzo delle lacrime?
Il Fondo di Garanzia. La Francia ha istituito nel 1986 un Fondo di Garanzia per le vittime del terrorismo, finanziato da un prelievo forfettario sulle assicurazioni. Questo sistema, unico al mondo per ampiezza, mira a risarcire le vittime per danni fisici, psichici e patrimoniali, utilizzando una "tabella Dintilhac" che quantifica il dolore e le perdite. Tuttavia, la sua applicazione è spesso fonte di frustrazione per le vittime, che percepiscono il Fondo come "taccagno" e "disumano".
Il "danno da lucida agonia". Un concetto giuridico cruciale emerso nel processo è il "danno da lucida agonia", che risarcisce il "sentimento di terrore provato dalla vittima che, fra il momento in cui è stata colpita o aggredita e il momento del decesso, ha avuto coscienza del carattere ineluttabile della propria fine". Questa nozione, recentemente riconosciuta come danno autonomo, mira a trasformare l'emotività in diritto, assicurando che la sofferenza terminale delle vittime sia specificamente riconosciuta e sanzionata.
Il costo della difesa. Il processo ha evidenziato un notevole squilibrio economico tra gli avvocati delle parti civili e quelli della difesa. Mentre i primi possono rappresentare numerosi assistiti e guadagnare cifre considerevoli, i difensori, spesso giovani e con un solo assistito, lavorano in condizioni meno remunerative. Nonostante ciò, molti scelgono questa strada per "amore della giustizia", per difendere "ciò che è più difficile da difendere", anche a costo di essere identificati con i loro assistiti.
7. La Difesa dell'Indifendibile: Tra Diritto e Umanità
Io non difendo nessuna causa, ma non rifiuto nessun imputato.
Il ruolo cruciale della difesa. Gli avvocati della difesa, molti dei quali ex "segretari della Conférence" (un prestigioso concorso di oratoria), hanno affrontato il compito arduo di difendere imputati accusati di crimini efferati. La loro missione non è difendere la causa del terrorismo, ma garantire che ogni imputato sia processato "sulla base del diritto e non delle passioni", anche quando ciò significa "essere l'ultimo a tendere ancora la mano".
La "difesa di rottura". Alcuni avvocati hanno adottato strategie che richiamano la "difesa di rottura" di Jacques Vergès nel processo Barbie, cercando di contestualizzare le azioni degli imputati nel quadro più ampio delle politiche occidentali. Isa Gultaslar, avvocato di Sofien Ayari, ha sostenuto che gli attentati dovrebbero essere riclassificati come "crimini di guerra", nati da una "legittima indignazione politica" contro la barbarie del regime siriano e l'intervento francese.
Il "ricatto sociologico". La difesa ha contestato l'accusa di "associazione a delinquere con finalità di terrorismo" per gli imputati minori, sostenendo che non potevano "non sapere" la natura terroristica delle azioni. Hanno argomentato che la giustizia deve considerare il contesto sociale e culturale degli imputati, spesso "tipi piuttosto limitati" che non possiedono la "finezza di analisi" dei pubblici ministeri, e che non si può cedere al "ricatto sociologico" che ignora le loro circostanze.
8. Il Contesto del Jihadismo: Leggere il "Libro dall'Inizio"
Il libro dovreste leggerlo dall’inizio.
Le radici del jihadismo. L'esperto Hugo Micheron ha fornito una prospettiva storica, partendo dalla "primavera araba" del 2010 e la successiva "jihadizzazione della rivolta" in Siria. Ha spiegato come la Siria, ribattezzata "Sham", sia diventata una "terra promessa" per giovani musulmani radicali, attratti dall'idea di costruire una società utopica basata sulla sharia, come nei primi giorni dell'Islam.
L'ISIS come movimento globale. La proclamazione del califfato da parte di Abu Bakr al-Baghdadi nel 2014 ha segnato la fine di "novant'anni di sventure" per gli arabi, offrendo un'identità e uno scopo a individui emarginati. L'ISIS, a differenza di al-Qaida, ha accolto "chiunque", promettendo un "Eldorado" di alloggio, donne, armi e la possibilità di torturare ostaggi, galvanizzando individui che "non sapevano niente della jihad".
Il carcere come "base". Micheron ha sottolineato che, dopo il crollo del califfato nel 2017, il jihadismo è entrato in una fase di "ripiegamento" e ha trovato nel carcere la sua nuova "base" e "laboratorio". L'arrivo dei "reduci" dalla Siria ha avuto un effetto deflagrante sulla popolazione carceraria musulmana, trasformando le prigioni in "università del terrorismo" e incubatrici per la prossima generazione di leader jihadisti europei.
9. Le Vittime Dimenticate e il Trauma Duraturo
Quando si parla dei centotrenta morti degli attentati, dice il padre, ci si dimentica di Guillaume, che ci ha messo due anni e sei giorni per diventare il centotrentunesimo.
Il peso della sopravvivenza. Il processo ha rivelato che il trauma degli attentati si estende ben oltre le vittime dirette. Molti sopravvissuti lottano con un profondo "senso di colpa" per essere vivi, ossessionati dai volti di coloro che non sono riusciti a salvare. Questo senso di colpa, unito a insonnia, incubi e attacchi di panico, ha devastato le loro vite, portando alcuni, come Guillaume, al suicidio, diventando la "centotrentunesima" vittima.
Le vittime "di serie B". Non tutte le vittime hanno ricevuto la stessa attenzione. Quelle dello Stade de France, dove l'attentato ha causato un solo morto, si sono sentite "dimenticate". Marylin, ferita da un dado esplosivo, ha raccontato come la sua sofferenza fosse minimizzata perché non era al Bataclan. La sua storia, e quella degli "inquilini di rue du Corbillon", sfollati e privati di tutto dall'intervento della polizia, ha evidenziato una "giustizia di classe" che privilegia alcune vittime rispetto ad altre.
I bambini del Rojava. Il dramma dei figli dei jihadisti, come i nipoti di Anne e Pierre Martinez, bloccati nei campi di prigionia curdi nel Rojava, ha mostrato un'altra forma di vittimizzazione. Cresciuti nell'indigenza, nella violenza e nell'odio per il paese che li ha abbandonati, questi bambini sono "spaventosamente infelici e, va da sé, potenzialmente pericolosi", ponendo un dilemma umanitario e di sicurezza per la Francia.
10. Il Verdetto: Giustizia, Simbolismo e le Sue Ambiguità
La vostra sentenza non permetterà di rammendare il sipario strappato. Non guarirà le ferite, visibili e invisibili. Non riporterà in vita i morti. Ma potrà almeno assicurare ai vivi che, qui, sono la giustizia e il diritto ad avere l’ultima parola.
Un verdetto atteso. La sentenza, letta dopo quasi un anno di udienze, ha accolto quasi tutte le richieste della procura, riconoscendo la colpevolezza di tutti gli imputati tranne Farid Kharkhach. Per Salah Abdeslam, l'unico coautore ritenuto, è stato richiesto l'ergastolo ostativo, una pena rarissima e senza possibilità di benefici. Questo verdetto, sebbene atteso, ha sollevato interrogativi sulla sua proporzionalità e sul suo valore simbolico.
La "sconfitta onorevole" della difesa. Gli avvocati della difesa, pur consapevoli delle pesanti condanne, hanno cercato di ottenere una "sconfitta onorevole", lottando contro l'ergastolo ostativo per Abdeslam e per la riqualificazione dei reati degli imputati minori. Hanno sottolineato l'importanza di giudicare gli uomini e non solo le azioni, e di non cedere alla "giustizia preventiva" o alla "demagogia".
Il significato del processo. Al di là delle condanne, il processo V13 è stato un'esperienza collettiva di elaborazione del dolore e di affermazione del diritto. Come ha detto il pubblico ministero Camille Hennetier, la sentenza non può "rammendare il sipario strappato" o "riportare in vita i morti", ma può "assicurare ai vivi che, qui, sono la giustizia e il diritto ad avere l'ultima parola". L'autore conclude che, nonostante le perplessità e le ambiguità, il processo è stato un "luogo sacro" che ha permesso di "fare qualcosa del dolore".
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Recensioni
V13 chronicles the trial of the 2015 Paris terrorist attacks, offering a powerful account of victims' testimonies, defendants' perspectives, and the legal process. Carrère's empathetic yet objective reporting captures the complexity of human emotions and ethical dilemmas surrounding the tragedy. Readers praise the author's ability to balance sensitive subject matter with insightful analysis, creating a compelling narrative that explores justice, trauma, and societal implications. While some found parts tedious, most commend Carrère's masterful storytelling and the book's profound impact.